Un’estate cinematografica nel segno dell’horror. La potenza filosofica del cinema e dei messaggi storico-sociali in esso contenuti.

Un’estate cinematografica nel segno dell’horror. La potenza filosofica del cinema e dei messaggi storico-sociali in esso contenuti, l’editoriale di Claudio Mattia Serafin

Sul finire dell’estate, gli spettatori hanno una vasta scelta in materia di approfondimento filosofico, fantascientifico ed esistenziale: dalla seconda metà di agosto sono disponibili i lavori di alcuni importanti Autori, da Jordan Peele e Alex Garland, sino al classico David Cronenberg.

E si scorge anche una sorta di filo rosso tra cinema d’autore e kolossal, oltre che tra mezzi mediali diversi (serie televisive, romanzi, fumetti e videogiochi): ancora una volta, tanto densa è la materia da indagare, tanto densa è la riflessione che ne scaturisce.

E infatti gli artisti citati virano ancora una volta verso le narrazioni profonde e macabre.

“Nope!”

A partire proprio da Nope, che è l’ultimo film horror sovrannaturale di Peele, che è di fatto la summa di tutte le sue passioni e influenze cinefile subìte o sperimentate; la cornice è fantascientifica, e poi di fatto la pittura diviene sociale, già a partire dal grottesco incipit, che descrive una strage avvenuta nello studio televisivo di una sit-com.

Lì per lì si rimane frastornati, ma poi la potenza didascalica si manifesta e, senza anticipare troppo, lascia intendere che il male di un attacco (alieno) è comunque minore rispetto alla perfidia data dalla spettacolarizzazione mediatica di qualunque tragedia; fattore che poi, in fondo, è la malattia dei nostri tempi social e iperattivi.

Il film Nope è però anche un western e una commedia, per cui si pone per ora come il manifesto definitivo di un importante regista giovane ed emergente.

Gli uomini e le donne: vecchie radici e nuove prospettive

Nel senso della critica sociale invece si muove Men del citato Garland, che tuttavia non è nuovo a riflessioni sullo stato languido e contorto delle relazioni umane (basti pensare a Ex Machina oppure ad Annientamento, che comunque era assai più tenue della sua lunga e spietata matrice letteraria), in ispecie quelle tra uomo e donna, il cui principale corollario è la totale e irreversibile incomunicabilità; qui la protagonista, che non a caso ha fattezze latamente androgine, deve elaborare un inspiegabile evento del suo recente passato, rifugiandosi in una villa della campagna inglese, ove si troverà ad interagire con gli abitanti del luogo, che sembrano avere tutti quanti le medesime fattezze.
E poi c’è un importante richiamo a una figura folklorica, l’Uomo verde, simbolo di rinascita e vitalità, descritto tra i tanti narratori anche da Tolkien.

Cronenberg invece, pur citando se stesso attraverso lo strumento del remake “lieve” (Crimes of the future era già il titolo di un suo precedente film, che risale a più di cinquant’anni fa), propone un diverso impianto filosofico, solidissimo, che fotografa il drastico stato delle cose in materia di ambiente e percezione dell’io (fisico, in particolare); il tutto è sorretto dalla sua regia, che è sempre una lezione di cinema, e dall’interpretazione di attori e protagonista (Viggo Mortensen).

Fumetti e videogiochi

L’horror, o il dark fantasy, dilaga, perché contamina anche le saghe cinematografiche di matrice fumettistica (normalmente più pop, oppure pulp, che horror), con testimonianze registiche e attoriali che vengono proprio dal secondo capitolo di Doctor Strange (Nel multiverso della follia) oppure da Morbius (Marvel), mentre la DC (escluso il simpaticissimo cartone animato sui Super Pets in sala a partire dal 1° settembre!) ha sempre avuto innervato in sé un filone noir.

Fumetti e, infine, videogiochi: quest’estate è stata pubblicata su Netflix la serie televisiva dedicata a Resident Evil, a pochissima distanza dal film autunnale.

Gli otto episodi televisivi sono una discutibile rivisitazione della saga videoludica, che vede al centro della narrazione Albert Wesker (nell’ottima interpretazione di Lance Reddick) e le sue due figlie, il tutto in un contesto aziendale asettico ed esasperante, non a caso pronto a sprofondare nell’oblio; sono presenti salti temporali per descrivere l’arco delle vicende, mentre poca attenzione è stata dedicata ai personaggi.

In particolare, del tutto snaturata è Evelyn, la figlia dello scienziato James Marcus (già presente nelle altre pellicole), cui sono state attribuite battute simil-erotiche che mal si attagliano alla matrice eccessiva, ma pur sempre glam, della saga; inoltre, molta confusione si manifesta nella presenza di alcune comparse che portano – per disattenzione degli sceneggiatori – i nomi di personaggi storici di Resident Evil (ad esempio, Isaacs e altri).

E ciò è peccato, perché la mitologia di una serie da sempre apprezzata andrebbe lasciata il più possibile intatta, e sempre mantenuta suscettibile di evoluzioni ragionate e artistiche.

 

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