La vicenda dei nostri militari internati nei campi di detenzione nazisti rischia, nel tempo, di cadere nell’oblio nonostante rappresenti un preciso e peculiare momento storico dell’Italia. Un esempio concreto su cui si basa questa considerazione è rappresentato dal fatto che nell’ambito della comunicazione pubblica che viene divulgata ogni 27 gennaio per informare il pubblico sulle iniziative relative alla commemorazione del “Giorno della Memoria”, istituito con la Legge nr.211/2000, vengono giustamente menzionate le vittime della Shoah, ma non vengono mai citati, nonostante risultino anche loro i soggetti destinatari della norma, “gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia”, ossia i militari che furono rinchiusi nei campi di concentramento nazisti.
Per fortuna agli inizi del 2023 è stato pubblicato da Linea Edizioni il libro di Ermanno Ferracin e Mattia Tasso Diciassette virgola sessanta. Un Internato Militare italiano nei lager nazisti” con l’intento di contribuire a ricordare le terribili vicende subite dagli Internati Militari Italiani, ovvero gli appartenenti all’esercito italiano che vennero fatti prigionieri dai tedeschi, dopo la dichiarazione dell’armistizio firmato da Badoglio l’8 settembre 1943, perché non vollero aderire alla Repubblica Sociale di Salò. Una definizione, quella di IMI, voluta appositamente da Hitler al fine di sottrarre alla Croce Rossa Internazionale la possibilità di accertare le disumane condizioni in cui versavano i nostri prigionieri di guerra, nonché privarli di ogni forma di tutela prevista dalle convenzioni internazionali. Sono stati calcolati in circa 600.OOO i soldati che finirono nei campi di prigionia tedeschi, di cui 70.000 perirono nel periodo della detenzione, altri morirono nel tempo per le sofferenze subite e le malattie contratte.
Dalle ricerche storiche appare ormai evidente come gli IMI siano stati “vittime” più volte, in modi diversi, di atteggiamenti posti in essere da plurime entità, come ben raffigurato nella massima di un famoso storico tedesco, Gerhard Schreiber, specializzato nei rapporti italo-tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, in particolare nei crimini di guerra nazisti: traditi (Badoglio) disprezzati (tedeschi) dimenticati (italiani). Quello che preme evidenziare nel presente articolo è proprio quest’ultimo aspetto, ossia come lo Stato italiano, ma non solo, abbia danneggiato ulteriormente e più volte queste persone nel corso del tempo, indicando come e quando.
Iniziamo con evidenziare che per lungo tempo la vicenda degli IMI fu ignorata, forse anche rimossa per ragioni di natura storico-politica, individuabili in due schieramenti: da una parte accusati di collaborazione con il regime fascista per aver prestato il giuramento di fedeltà a questo, dall’altro ritenuti traditori della Patria. In più, le esigenze diplomatiche del dopoguerra, di rivalutare il ruolo della Germania nel mutato quadro internazionale, determinarono un accantonamento della vicenda da parte dei Governi di allora. Parimenti, anche la Giustizia militare evitò di occuparsi di loro, ovvero di fare giustizia dei crimini commessi in danno degli IMI nei campi d’internamento nazisti non perseguendo, per almeno mezzo secolo, i responsabili. Probabilmente anche in questo caso per motivi politico-diplomatici. Le note vicende del c.d. “armadio della vergogna” posto nel sottoscala della Procura Generale del Supremo Tribunale Militare ne sono una prova incontrovertibile.
Tale situazione di rimozione della memoria collettiva iniziò a mutare verso la fine degli anni Novanta a seguito della pubblicazione delle prime testimonianze di alcuni ex IMI sopravvissuti.
Paradossalmente, dal momento in cui nel Paese veniva timidamente presa coscienza delle vicissitudini dei nostri ex militari, tra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, per gli stessi iniziava un altro percorso, sempre doloroso in quanto faceva rivivere loro le violenze e le ingiustizie subite: la richiesta di risarcimento danni alla Germania. Un numero sempre più crescente di ex IMI avanzava le relative istanze presso i competenti Tribunali italiani, denunciando quanto subito e quindi ricordando quei momenti drammatici, che ancora provocano sofferenze interiori se non addirittura disturbi a livello psicologico, trovando in molti casi l’accoglimento e la conseguente condanna dello Stato tedesco al pagamento. Ma si è trattato di un’illusoria speranza di giustizia riparatrice. Difatti, stante l’elevato numero di sentenze di condanna, la Germania iniziava un contenzioso in più sedi, tra cui la Corte Internazionale di Giustizia (Cig), allo scopo di interrompere le pretese di risarcimento. A fronte di tali iniziative, interveniva, nel 2014 la Corte Costituzionale italiana. Si creava così uno stallo, con conseguente blocco dei risarcimenti riconosciuti in sede processuale, provocato dalla contrapposizione dei due organi giurisdizionali. Situazione di immobilismo destinata a perdurare poiché nel 2022 lo Stato tedesco presentava un nuovo ricorso alla Cig contro le continue emissioni, da parte dei Tribunali italiani, di provvedimenti di pignoramento di beni tedeschi, ubicati nel nostro Paese, a garanzia dei risarcimenti stabiliti a favore degli ex IMI. Allo stato attuale, pertanto, rimane pendente presso la Cig l’stanza presentata nuovamente dalla Germani e non è dato sapere quando si esprimerà tale organo giurisdizionale dell’ONU. Incertezza sine die che incombe sulle legittime aspettative degli aventi diritto e di cui la diplomazia italiana non si è mai interessata al fine di trovare una soluzione. Sicuramente per gli ex IMI è un’ulteriore sofferenza, nel veder frustrati i loro diritti a essere risarciti. Purtroppo, per loro, di recente si è aggiunta un’altra circostanza foriera di delusione. Nel 2022 è stata emanata una norma (d.l. 36/2022) che prevede l’istituzione di un fondo speciale “per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich tra il 1 settembre 1943 e 8 maggio 1945”. Il provvedimento, purtroppo, a causa della sua formulazione, risulterebbe di difficile applicazione concreta poiché vengono stabiliti tempi strettissimi per presentare le relative istanze, nonché requisiti procedurali stringenti, che rendono quasi impossibile ricorrere al fondo così istituito dallo Stato e quindi ottenere una sorta di giustizia riparativa, seppur in enorme ritardo. Questo è il trattamento materiale che stanno ricevendo gli ex IMI, che già non hanno avuto giustizia in sede penale. Tutto ciò è accaduto e accade nonostante il loro eroico comportamento tenuto, più o meno consapevolmente, nell’ambito dell’ultimo conflitto. Un ruolo definito da Giorgio Bocca, nella sua “Storia dell’Italia partigiana”, l’altra faccia della resistenza, meno nota ma non meno importante. La rilevanza di questo contributo indiretto, alla guerra di liberazione nazionale, è stata riconosciuta anche da un importante storico della Resistenza, Roberto Battaglia, nella sua fondamentale opera “Storia della Resistenza italiana”.
Allora, se noi non possiamo far altro di fronte a tutte queste ingiustizie subite dagli ex IMI, almeno ricordiamo la loro figura, entrata a pieno titolo nella Storia di questo Paese, rendendogli il giusto merito e onore. Il libro Diciassette virgola sessanta può contribuire a far questo.
Pierluigi Granata